HOTgMC – The Vault

Games, Movies, Music, Tech

Senza categoria

Devil’s Third


Itagaki è un designer di successo, a lui si devono il ritorno di Ninja Gaiden sotto forma di action stilosissimo (e difficilissimo) e i Dead or Alive. Diventa famoso per il fatto di non abbandonare mai gli occhiali da sole e il suo fare da duro, conquista un gran numero di fan che lo osannano per ciò che ha creato, e dopo 16 anni di convivenza decide di mandare al diavolo il Team Ninja per fondare una sua casa di sviluppo, i Valhalla Studios. Il loro primo titolo, Devil’s Third, ha uno sviluppo travagliato: viene annunciato, poi scompare per un bel po’, e infine riappare come esclusiva WiiU con buona pace dei fan.  Erano molti quelli che si aspettavano un giocone dal buon Tomonobu, d’altronde il declino del Team Ninja dopo la sua partenza è stato evidente e visto il suo pedigree le possibilità per una grossa sorpresa c’erano tutte. Dopo preview tutt’altro che entusiasmanti e una prova prolungata della sua ultima opera, però, dobbiamo con tristezza affermare che forse entrambe le parti del vecchio Team Ninja avevano bisogno l’una dell’altra per funzionare. Devil’s Third è infatti un titolo di rara bruttezza e gran parte del merito lo ha il comparto tecnico del gioco, capace di rovinare in toto l’esperienza… ma andiamo per ordine. Devil’s Third dimostra chiaramente come cotanta bellezza sia da attribuire in larga parte a Itagaki. Tutto parte dalla Sindrome di Kessler, una teoria secondo cui i detriti spaziali, una volta raggiunta una certa soglia, possono diventare così tanti da impedire i viaggi nello spazio dalla Terra. Qui la teoria viene usata per distruggere tutti i satelliti in orbita da una non meglio precisata organizzazione terroristica. Scoppia una sorta di guerra mondiale, e voi, un prigioniero leggendario dallo stereotipato accento russo di nome Ivan, venite spediti dal presidente degli Stati Uniti a risolvere la situazione, poiché della succitata organizzazione terroristica facevate parte. In pratica, quello che i Valhalla han deciso di mettere in campo è un sistema ibrido, che mescola meccaniche da fps, tps e action hack ‘n’ slash, le semplifica per renderle accessibili e le applica a un ritmo di gioco estremamente rapido. Sulla carta ottimo, ma l’applicazione lascia molto a desiderare: il movimento funziona, grazie a scatti rapidi, a una scivolata utilizzabile durante la corsa e alla capacità di Ivan di scalare pareti altissime e balzare come un campione olimpionico. Il combat system corpo a corpo, invece, è semplicistico, un insieme di colpi leggeri e potenti privi di finezza, ben lontani dalla complessità di combinazioni a cui il designer giapponese ci ha abituato. Non sarebbe nemmeno particolarmente grave se si vedesse l’uso delle armi da taglio/urto come una semplice seconda scelta, eppure le meccaniche difensive di schivata e parata, oltre al numero di nemici che spingono al melee, sottolineano la sua centralità. Tristemente il titolo non offre molto di meglio quando si va ad analizzare lo shooting.

Le armi infatti sono poderose, in particolare i fucili automatici, ma per mirare si passa in prima persona, una scelta che spezza all’improvviso il ritmo furioso del gioco obbligando a rallentare seccamente durante le sparatorie e a mirare per benino. Il feeling delle armi poi è praticamente nullo, il bilanciamento delle stesse pure, il cover system automatico non è dei più affidabili, un power-up chiamato Enbaku aggiunge pochetto, una certa legnosità pervade ogni elemento, e non bastano certo teste che esplodono a caso e pezzi di corpi nemici sparsi ovunque a migliorare i combattimenti. Poi ci pensa persino una struttura delle missioni terribile a fare da ciliegina sulla torta, con blocchi forzosi, muri invisibili, fasi su torrette pessime, e aiutanti utili quanto una forchetta a forma di cotton-fioc (si parla di un gruppetto di soldati americani che o non vi sta dietro, o sarebbe meglio ci rimanesse). Tra le opzioni offerte non mancano match classici e loro varianti, ma la presenza di modalità dedicate esclusivamente al corpo a corpo, partite in cui vanno catturati cargo che cadono dal cielo e galline, o sfide a chi frulla più frutta è a dir poco dilettevole. Il Siege Mode appena citato inoltre è geniale, permette di selezionare una specifica zona poi personalizzabile con varie difese, e viene affrontato nei panni di un mercenario senza affiliazione o come membro di un clan. Sono pochi gli shooter che osano infilare così tanti contenuti nel loro multiplayer.

Voto: 7

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *