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Total Recall

Doug Quaid è un operaio della Colonia, che ogni giorno viaggia attraverso il nucleo della terra verso l’Unione Federale Britannica, dove collabora alla costruzione degli automi che riempiono le fila della polizia federale. Di notte, invece, gli incubi non gli danno tregua. Per questo, nonostante la vicinanza della bella moglie e l’amicizia di qualche collega, una sera Doug si convince di aver bisogno di qualcosa di più e di meglio e si presenta nella sede della Rekall, azienda che impianta ricordi fittizi. Vorrebbe farsi “un viaggio” da spia, ma qualcosa va storto perché risulta possedere già dei ricordi da spia, che combaciano con i suoi incubi. È la sua vita quotidiana, allora, che gli appare improvvisamente come falsa e pericolosa.
Remake del film di Verhoeven con Arnold Schwarzenegger che fece epoca al momento dell’uscita, l’Atto di Forzadi Wiseman si allontana ancora di più dal racconto di Philip Dick che diede lo spunto all’originale (We Can Remember It For You Wholesale) e si configura piuttosto come un epigono della trilogia di Jason Bourne, a metà tra thriller psicologico e action che si avvia e si esaurisce nell’unico movimento dell’inseguimento.
Se il primo tempo lascia ben sperare e non è privo di qualche buona idea riguardo all’architettura del mondo futuristico immaginato, questa speranza si disintegra presto contro un muro di ovvietà, la fantasia si spegne dentro un’indigestione di computer graphica e non si conta più un’idea originale che sia una (meno che mai nella rappresentazione della Resistenza).
Colin Farrell non è senza perché, credibile tanto nella caratterizzazione sociale che in quell’aspirare ad un trasgressivo superamento del confine stabilito, in virtù di ruoli precedentemente interpretati e attraversati dalla stessa inquietudine, ma non basta certo a tenere in piedi un film troppo povero, che spreca imperdonabilmente un budget troppo ricco. La tematica del falso ricordo e dell’impossibilità di discernere tra illusione e verità, che in Dick è sinonimo tanto di paranoia quanto di pietà, perché metafora della condizione umana nel suo tragico complesso, qui non è che un espediente narrativo che si consuma in fretta, senza mai sfiorare la mente né il cuore dello spettatore.

Voto: 9

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