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Beyond: Due Anime

Beyond: Due Anime è un racconto splendido. Senza addentrarci nei dettagli della trama – raccontarla equivarrebbe a rovinarvi l’intera esperienza – la vicenda riguarda la storia di Jodie, una ragazza nata con un dono: un’entità alla quale è legata e che può interagire con l’ambiente e con le persone. Jodie viene fatta oggetto di studi scientifici prima e di piani governativi poi, e da qui partono tutte le vicende narrate nel corso dell’avventura. Attraversiamo le diverse stagioni della vita della ragazza, dalla sua infanzia fino all’età adulta, esplorando svariati luoghi in una serie di situazioni spesso antitetiche tra loro. Nonostante il carattere paranormale della vicenda narrata, tutto viene descritto in maniera credibile. Non vi sono momenti che spezzano il mondo costruito dal racconto, non vi sono buchi nella trama né esagerazioni forzate. Certo, vi sono sequenze più e meno riuscite, personaggi che restano dentro più di altri, ma nel complesso la vicenda è in grado di trasmettere emozioni anche molto forti. L’aspetto che, probabilmente, rende la storia molto originale è il modo in cui essa viene raccontata. Potremmo affermare che il titolo è costruito in maniera concentrica, come in un gioco di scatole cinesi, in cui ogni strato porta all’interno un certo grado di discontinuità narrativa. Lo strato più esterno è quello determinato dalle azioni del giocatore, che con le sue scelte può influire l’andamento della vicenda e determinare le varie strade narrative prese dalla protagonista, oltre a decidere i vari finali che contraddistinguono questo gioco, e che potenzialmente prolungano la longevità.  Lo strato nel mezzo è costituito dalle varie sequenze, costruite in una maniera temporalmente interessante. Il tempo della storia e il tempo del racconto, infatti, non coincidono mai: il racconto inizia in prossimità della conclusione della storia di Jodie, poi prosegue con un salto indietro nel tempo di oltre vent’anni, per poi tornare in avanti di altri dieci anni. E poi di nuovo indietro, avanti, avanti e indietro, in un intricato gioco di analessi e prolessi architettato in maniera sublime dagli sceneggiatori. Alcuni frammenti del racconto rappresentano un arco narrativo a sé stante, mentre altri sono a loro volta frammentati in piccole sequenze che svelano un certo grado di consequenzialità, una volta giunti alla fine della vicenda. Infine – ed è questo lo strato più interno di queste scatole cinesi – le sequenze stesse sono spesso interrotte da dei vuoti temporali, ellissi narrative che evitano al giocatore tediosi backtracking o che, in alcuni casi, lasciano che sia la non-narrazione a raccontare qualcosa. In breve, il giocatore si trova ad avere a che fare con un’esperienza frammentaria, che si ricostruisce lentamente come i tasselli di un puzzle, e che solo alla fine mostrano il contenuto misterioso. Questa volta David Cage ha cercato di sbrogliare la matassa della non-interattività grazie a Aiden, l’entità che convive con Jodie. Il controllo dello spirito, infatti, trasforma il gioco in un titolo in prima persona, che ci permette di esplorare (quasi) liberamente l’ambiente, di attraversare i muri e di compiere alcune operazioni uniche, che includono l’uccisione dei nemici e il possesso dei corpi. Jodie, invece, è controllata in terza persona, ed è imbrigliata dalle leggi fisiche che governano il mondo. Tuttavia, Jodie vede quello che vede Aiden, e può pertanto indicare al proprio compagno quali azioni compiere. Aiden, però, è un’entità senziente e non certo un cagnolino ammaestrato. Il giocatore, dunque, può scegliere se eseguire le richieste di Jodie o agire in maniera più anarchica, spesso ponendoci di fronte a dei dilemmi morali. Anche questa volta, però, l’interazione con l’ambiente – sia dal lato di Jodie che da quello di Aiden – avviene attraverso degli hot spot, indicati da puntini bianchi. Dove troviamo un puntino bianco sappiamo di poter compiere qualche azione, sia attraverso i QTE che attraverso le azioni apparentemente più libere di Aiden. I combattimenti si eseguono muovendo lo stick destro nel verso del movimento compiuto dalla protagonista. Ovvero: se Jodie colpisce da destra verso sinistra, lo stick va spostato verso destra. Se deve schivare verso il basso, lo stick va spinto verso il basso. La sequenza cambia a seconda che il movimento sia compiuto bene o male, e spesso può dare luogo a esiti diversi nella scena. Il gioco, infine, include alcune brevi sequenze di guida e a cavallo, anch’esse parzialmente su binari e scarsamente interattive.Qualcuno potrebbe considerare Beyond: Due Anime un non-gioco. O, se vogliamo, una sorta di anello mancante tra videogioco e cinema. Se ci atteniamo alla definizione di videogioco – ovvero di prodotto che permette un’interazione uomo-macchina di tipo ludico – Beyond: Due Anime è indubbiamente un videogame. Al contempo, la forza della narrazione per immagini potrebbe certamente evocare il medium cinematografico.Gli ambienti sono ben caratterizzati, e grazie alla particolare struttura narrativa discontinua vi sono dei cambi di scena che ci hanno ricordato lo straordinario passaggio dalla prima alla seconda parte di Uno Studio in Rosso di Arthur Conan Doyle. Tutto, però, è certamente reso unico dalla straordinaria interpretazione dei personaggi, versioni digitali degli attori che gli interpretano. Così, Ellen PageWillem Dafoe e Kadeem Hardison compiono un lavoro di interpretazione davvero eccellente, per nulla svilito dall’ottimo doppiaggio in italiano. Le musiche riescono a contrappuntare le scene, e sono in grado di fare salire la tensione laddove non vi sarebbe ragione per essere tesi. Nel complesso, il comparto audiovisivo del gioco è di qualità molto alta.

 

VOTO: 9

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